Quanto e perché è importante viaggiare ai fini dell’attività traduttiva? Scopriamolo insieme in occasione della giornata mondiale della traduzione.
Georges Mounin, importante linguista e teorico della traduzione, diceva che «per ben tradurre non basta studiare la lingua; bisogna anche studiare la cultura che ad essa corrisponde con un esame sistematico. I soggiorni all’estero, per esempio, non sono semplicemente un piccolo supplemento facoltativo al corredo del buon traduttore, sono invece una buona metà della sua scienza».
Ma perché mai si insiste così tanto sull’importanza di conoscere la cultura di appartenenza quando si studia una lingua e ancor di più quando si deve tradurre un testo? Proviamo a dimostrarlo il più scientificamente possibile.
Tutti noi conosciamo, il dipinto del pittore surrealista Magritte “La Trahison des images” [L’inganno delle immagini] in cui raffigura una pipa e subito sotto pone la provocatoria didascalia Ceci n’est pas une pipe [Questa non è una pipa]. Secondo Magritte, quella del dipinto non è una pipa in quanto non si tratta di un oggetto reale ma di una sua raffigurazione. L’artista fa leva sulla complessità e sugli equivoci del linguaggio umano per sfatare quella supposta sovrapposizione tra realtà e immagini, argomentando ineccepibilmente la sua tesi soprattutto nel momento in cui spiega che in effetti nessuno potrebbe fumare la pipa del suo dipinto. Realtà e immagini sono secondo l’artista su due livelli diversi e paralleli.
Per tornare al nostro mondo, Ferdinand de Saussure, padre della linguistica moderna, aveva già spiegato questa differenza nel principio di arbitrarietà del segno linguistico, secondo cui il nome che si assegna a un oggetto non è intrinsecamente legato al suo concetto ma è solo il frutto di una tacita convenzione tra i parlanti. Le lettere e i suoni della parola “casa” non contengono dunque il suo concetto, ma servono solo ai parlanti per identificare il contenuto. Anche in questo caso dunque, realtà e parole sono su due livelli diversi e paralleli.
Da un lato quindi la realtà, dall’altro la rappresentazione, le immagini, i nomi e le parole. Ma qual è il rapporto tra questi due livelli e come essi si rapportano tra loro? Il nostro lavoro in effetti consiste nell’elaborazione di flussi continui di migliaia di parole. Le parole sono senz’altro il livello a noi più vicino e ciò su cui ci soffermiamo più di tutti, a volte ore, sino a trovare il sinonimo o la collocazione perfetta, ma siamo sicuri che siano le parole il fulcro della nostra attività?
In realtà esse sono l’aspetto più effimero in quanto sempre Saussure ci dice che la lingua non è altro che il riflesso di un sistema di valori di una comunità che può anche cambiare nel tempo. Le parole sono dunque solo la conseguenza della storia di un popolo con le sue caratteristiche e abitudini ambientali, alimentari e culturali, sono solo la punta dell’iceberg. Come si può pretendere di avere dunque una piena comprensione senza la conoscenza della cultura di riferimento delle parole che stiamo elaborando, studiando e traducendo?
Fish and chips, Caffè, Tortillas, Omelette sono solo quattro classici ed evocativi esempi di come è impossibile comprendere veramente una parola senza andare a fondo nella storia e nella vita quotidiana dei parlanti. Inutile aggiungere che per quanto ci si sforzi da remoto, solo l’immersione nei paesi madrelingua può essere efficace per comprendere una cultura. La traduzione comporta inoltre il doppio del carico di lavoro in quanto bisogna conoscere anche la cultura di arrivo e scegliere la tecnica traduttiva più appropriata per il testo e il pubblico.
Ogni comunità di parlanti costituisce la sua società e le sue istituzioni e distribuisce i campi semantici della sua realtà in un determinato mosaico di parole. Pertanto, in occasione della giornata mondiale della traduzione, non resta che augurare a tutti noi… Buon viaggio!